giovedì, Marzo 28, 2024

NANNI (ROCA): “L’ITALIA DEVE SFRUTTARE IL GAS ADRIATICO E RADDOPPIARE LA PRODUZIONE”

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Riceviamo da Franco Nanni, Presidente del ROCA (Ravenna Offshore Contractors Association), associazione che raggruppa le aziende attive nel settore oil&gas nel distretto ravennate, il seguente intervento relativo alle dinamiche del mercato nazionale del gas, che pubblichiamo integralmente:

 

 

‘Prezzi del gas alle stelle’, ‘Gas sempre più caro, in tre giorni + 50% sul mercato italiano. ‘Il Governo dichiara lo “stato di pre-allarme”. Sono i titoli degli ultimi due giorni che il Sole 24 Ore ha dedicato all’escalation del gas importato.

Per il Roca (Ravenna Offshore Contractors Association) questo rincaro riporta alla ribalta le scelte energetiche dell’Italia che, purtroppo, stanno avendo conseguenze pratiche sia nelle tasche dei cittadini per i costi maggiori che sopportano causa l’import di gas, sia sulle aziende del settore che perdono fatturato e posti di lavoro (solo a Ravenna il fatturato è passato in 3 anni da 2 miliardi di euro annui a meno di 1 miliardo, i lavoratori sono calati da 7500 a meno di 4 mila con aziende che continuano a chiudere).

Il gas è tornato straordinariamente di moda perché è la fonte energetica da sfruttare in questi decenni di transizione verso l’utilizzo crescente delle fonti rinnovabili e l’abbandono di quelle fossili. Il paradosso è che, come vedremo più avanti, l’Italia ha importanti riserve di gas che non sfrutta, in compenso lo importa.

Il dato ufficiale dei consumi di gas nel 2016 è di 70,9 miliardi di metri cubi, con una crescita del 5% rispetto al 2015 e addirittura del 14,5% sul 2014. L’importazione è invece aumentata del 6,7% sul 2015, mentre sempre in continuo calo è la produzione nazionale (-14,6% sul 2015). Nel 2006, a fronte di 86 miliardi di metri cubi di gas consumati, ne sono stati importati  77 e la produzione nazionale è stata di 10 miliardi di mc. Nel 2016 a fronte di 71 miliardi di mc consumati, l’import è stato di 65 miliardi di metri cubi e la produzione italiana è stata dimezzata: 5,7 miliardi di metri cubi.

L’Italia ha il gas, ma non lo estrae. Secondo stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di gas in territorio italiano ammontano a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo tra 120 e 200 per un valore tra 75 e 100 miliardi di e

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uro. Somme su cui lo Stato o le Regioni potrebbero incassare almeno il 7% di royalties e il 40% di tasse. Senza considerare l’effetto sull’occupazione diretta e l’indotto. Rinunciare a estrarre gas significa quindi scaricare i costi sui bilanci delle aziende e dei cittadini e sulla casse dello Stato.

Il primo distretto oil&gas italiano è quello di Ravenna. Prima Agip, poi Eni, hanno contribuito, assieme alle imprese locali, a creare in quest’area un gioiello tecnologico. Nei primi Anni Novanta siamo arrivati a produrre circa 35 milioni di metri cubi di gas al giorno e tuttora Ravenna provvede, grazie a una rete di 100 piattaforme, a un terzo della produzione nazionale.

Nel piano industriale 2017-2020 Eni ha inserito 2 miliardi per mantenere in Adriatico l’attuale livello di produzione di gas pari a 53 mila barili di olio equivalente al giorno. Senza questo intervento il livello output crollerebbe del 25%. La strategia annunciata è quella di tornare a produrre gas ai livelli di 10 anni fa, contemporaneamente all’avvio dei progetti di decommissioning delle piattaforme non più attività. Come Roca ci siamo impegnati con progetti e proposte anche in questo ambito.

Il potenziale dell’area adriatica consentirebbe di raddoppiare la produzione nel 2020, a fronte di ulteriori investimenti e di iter autorizzativi certi e celeri.  Ma oggi, in Italia, lo Stato impiega 50 mesi per rilasciare le autorizzazioni operative, ovvero 4 anni e 2 mesi, quando è stato chiesto ufficialmente di scendere almeno a 35 mesi, un periodo di ‘compromesso’ quando la legge prevede 15 mesi, sempre comunque lontanissimi dalla Norvegia che rilascia i permessi in 6 mesi.

Eni ha avuto luce verde per il progetto Bianca-Luisella nell’offshore Adriatico al largo delle Marche. Infatti Eni ha ricevuto l’approvazione ambientale da parte delle autorità italiane per dare il via al progetto di gas Bianca-Luisella nel mare Adriatico, come scritto nella rivista specializzata “Upstreem” da Lain Esaù. Il progetto prevede l’installazione di una piattaforma pozzo in 50 metri di acqua, otto pozzi di sviluppo e tre Flowlines che trasportano circa 63 milioni metri cubi al giorno di gas a quattro chilometri dalla piattaforma di Eni Brenda. Il jacket dovrebbe pesare circa 900 tonnellate e sosterrà un piccolo ponte a tre livelli. La flowline avrà un diametro di 12 pollici mentre il resto sarà di quattro pollici di diametro. La approvazioni del Ministero dell’ambiente, Ministero della cultura e del turismo sono arrivate dopo più di quattro anni. L’Eni ha inizialmente depositato la sua relazione di valutazione d’impatto nell’estate 2013.

I due campi sono controllati al 100% da Eni e si trovano nella concessione di AC 12 Development.

Bianca è stata scoperta nel 1985 e valutato 12 anni dopo, mentre Luisella è stata scoperta nel 1996.  Il progetto Bianca Luisella faceva parte dei 2 miliardi d’investimenti annunciati da Eni il 10 aprile scorso.

Mi chiedo: in Italia si può ancora produrre energia? Di quanto saliranno ancora quei 600 miliardi di progetti bloccati dai tanti comitati del NO?

E dire che anche i dati sull’impatto ambientale dell’estrazione di idrocarburi in Mediterraneo sono assolutamente in regola: ricordo che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60% l’inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40% dal traffico navale, che riversa in mare circa 150mila ton/anno di idrocarburi. Insignificante l’apporto dell’attività estrattiva (minore dello 0,1%).

Se diventassimo meno dipendenti dall’import di gas, certamente risparmieremmo più denaro, favoriremmo l’occupazione e potremmo quasi definirci un Paese normale. L’incidente avvenuto ieri alla stazione di compressione di Baumgarten, in Austria, ripropone il tema dell’approvvigionamento del gas metano e dell’urgenza di una decisione del nostro governo sullo sfruttamento dei giacimenti nazionali. Infatti il governo, che ha il controllo dell’Eni, dovrebbe sbloccare gli investimenti e dovrebbe soprattutto snellire la burocrazia dei suoi ministeri.

È necessaria una politica energetica seria tenendo presente che non possiamo dipendere da pochi fornitori come dell’impianto di cui sopra da cui transita il gas russo, che rappresenta oltre il 40 % del fabbisogno italiano.

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