Continua a crescere la produzione petrolifera della Libia, paese ancora attraversato da una guerra civile strisciante che ha colpito pesantemente l’industria delle estrazioni ma che in questi mesi sembra aver concesso una sorta di tregua grazie a cui l’export di greggio è potuto aumentare.
Secondo i dati forniti dalla società genovese di brokeraggio navale banchero costa, che cita fonti OPEC, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 la Libia produceva in media 0,4 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre a luglio 2017 è stato toccato un picco pari a 1 milione di barili al giorno.
Questo trend positivo ha portato la Libia a pesare per il 2,4% sulla produzione complessiva dell’area OPEC, rispetto al 1,2% del 2016, ma complica ulteriormente gli sforzi dell’organizzazione per tentare di ridurre l’output complessivo e quindi sostenere una ripresa del prezzo al barile. Al momento, comunque, lo stato nordafricano, pur essendo un membro OPEC è esentato dai nuovi limiti e la National Oil Corporation (NOC) ha dichiarato di voler raggiungere entro fine anno un livello di almeno 1,25 barili al giorno (prima della crisi del 2011 la Libia produceva 1,6 milioni di barili al giorno) prima di prendere in considerazione qualsiasi possibile accordo su un contingentamento dell’export.
L’incremento dei livelli produttivi è andato a beneficio dei paesi europei che storicamente sono tra i principali acquirenti del greggio libico: innanzitutto la Germania, le cui importazioni sono incrementate del 300% a quota 3,7 milioni di tonnellate nei primi 9 mesi del 2017 (rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), poi l’Italia (+200% a 3,2 milioni di tonnellate) e anche la Spagna.
Ma parallelamente sono aumentate anche le spedizioni a lungo raggio, verso compratori del Far East, con in testa Cina e Corea del Sud – sempre secondo i dati forniti dal report di banchero costa – che nel corso del 2017 hanno acquistato rispettivamente 2,1 milioni di tonnellate e 1 milione di tonnellate di petrolio libico, con incrementi del 274% e 111% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una dinamica che tuttavia potrebbe essere almeno parzialmente influenzata dal taglio dell’export attuato da alcuni dei principali produttori dell’area OPEC, tradizionali fornitori delle economie asiatiche, come Arabia Saudita e Iraq.
La Libia, comunque, mantiene le sue ambizioni di crescita, che però devono scontrarsi con una serie di problemi operativi causati dal perdurante stato di instabilità politica, come la chiusura dei porti petroliferi di As Sidrah e Ras Lanuf e il pesante taglio al budget di NOC, che al momento non disporrebbe delle risorse necessarie per poter riparare gli impianti di produzione danneggiati durante la guerra civile.
Senza considerare che le oil major internazionali sono ancora riluttanti ad impiegare risorse economiche e umane in Libia, come per esempio nel caso del giacimento Sharara, il più grande del paese, che è controllato da una joint-venture tra NOC, Repsol, Total, OMV e Statoil e che è stato più volte bloccato da milizie locali.
In questo scenario, quindi, è probabile che i livelli di produzione petrolifera della Libia resteranno piuttosto volatili: ci saranno picchi di incremento che però non è detto possano poi stabilizzarsi sul lungo periodo.