Stop alle attività della Goliat FPSO, la piattaforma galleggiante installata dall’Eni nell’offshore del Mar di Barents (85 km a nord ovest di Hammerfest) per sfruttare le risorse petrolifere dell’omonimo giacimento (si stima pari a 180 milioni di barili di petrolio), almeno fino a che la controllata locale Eni Norge non avrà soddisfatto tutte le richieste delle autorità norvegesi.
L’ordine di fermare tutte le attività dell’impianto è infatti arrivato dalla Petroleum Safety Authority (PSA), ente del Governo di Oslo deputato al controllo delle attività petrolifere nel paese, che dal 19 al 28 settembre scorsi ha svolto un audit approfondito sulle dotazioni di sicurezza dell’impianto elettrico della Floating Production Storage and Offloading Unit dell’Eni (la Sevan 1000, costruita dal cantiere sudcoreano Hyundai Heavy Industries con una capacità di stoccaggio di 1 milione di barili e operativa dalla primavera del 2016) individuando delle carenze su cui la corporation italiana è chiamata ad intervenire.
Eni e PSA si sono quindi incontrate il 4 ottobre scorso per confrontarsi sull’esito dell’indagine, mentre il 6 ottobre, dopo aver ricevuto e valutato i commenti del gruppo di San Donato Milanese, la PSA ha emesso il suo ordine, che impone il fermo temporaneo delle attività.
L’autorità norvegese ha disposto che l’Eni effettui una approfondita analisi dei sistemi elettrici dei motori della Goliat, verificando le potenziali cause di rischio e implementando quindi tutte le necessarie misure dal punto di vista tecnico, organizzativo e operativo per ridurre tali potenziali rischi.
Interventi che dovranno essere svolti con la FPSO completamente inattiva: la produzione petrolifera del giacimento Goliat (100.000 barili di greggio al giorno, di cui 65.000 in quota Eni) potrà infatti riprendere soltanto quando l’Eni avrà implementato tutte le misure richieste dalla Petroleum Safety Authority.
L’azienda italiana, come si legge nella nota emessa dalla PSA, ha 3 settimane di tempo per appellarsi contro questa decisione.