Le misure di inasprimento fiscale volute dal Governo italiano nei confronti delle attività di estrazione di idrocarburi, a fronte di un modesto beneficio per le casse dello Stato, comporterebbero danni enormi per un settore già in difficoltà, causando la perdita di migliaia di posti di lavoro.
A lanciare l’allarme è stata Assomineraria, associazione aderente a Confindustria, che in un documento datato 21 novembre – e pubblicato dalla testata Staffetta Quotidiana – mette nero su bianco le sue preoccupazioni, con tanto di calcolo quantitativo dell’impatto negativo.
A pesare saranno – scrive Assomineraria – la nuova imposta immobiliare analoga all’IMU sulle piattaforme petrolifere entro le 12 miglia dalla costa, denominata IMPi e introdotta nel DL Fiscale, e la modifica dell’assetto fiscale delle attività di estrazione di idrocarburi contenuta nella Legge di Bilancio, che vanno a sommarsi agli effetti delle misure di aumento dei canoni e di sospensione dell’attività di ricerca di idrocarburi contenute nel cd “Decreto Semplificazioni” del gennaio scorso. Un mix che potrebbe spingere l’intero sistema nazionale di produzione di gas naturale e petrolio verso una crisi irreversibile.
In particolare, il combinato disposto di queste misure causerebbe la perdita di 5.000 posti di lavoro tra diretti e indotto e determinerebbe la cancellazione di piani di investimento stimati attualmente in circa 400 milioni di euro per il biennio 2020-2021.
Tutto ciò senza comportare alcun beneficio dal punto di vista ambientale, anzi: secondo Assomineraria l’Italia sarà costretta ad aumentare ulteriormente le sue importazioni di petrolio e gas naturale (già oggi ben più alte della media UE), aggravando la sua dipendenza energetica da fonti estere (con un significativo peggioramento della bilancia commerciale di almeno 300 milioni di euro l’anno), e aumentando quindi il trasporto dei prodotti con conseguente incremento delle emissioni dannose in atmosfera.
Anche per quanto riguarda il versante del bilancio dello Stato, i benefici – secondo Assomineraria – sarebbero molto modesti, nell’ordine di ulteriori entrare per soli 40 milioni di euro, a fronte però di mancate entrate per almeno 100 milioni in termini di canoni, tasse e contributi che verrebbero meno a causa del calo della produzione, degli investimenti che alimentano l’indotto e degli occupati della filiera.
Inoltre – scrive ancora l’associazione che riunisce le imprese del settore – lo Stato sarebbe esposto a potenziali contenziosi che secondo una stima degli stessi uffici del MiSE, relativa alla sola “moratoria” della esplorazione decisa nel gennaio scorso, di oltre 470 milioni di euro complessivi.