Infuria la guerra dei prezzi del greggio tra i Paesi produttori: a fronte di un calo della domanda attesa per l’anno in corso (la Energy Information Administration americana ha tagiato le stime delle cresicta delle domanda per i 2020 di 660.000 barili, riassestando il valore annuo a 0,37 milioni di barili al giorno), conseguente all’epidemia di coronavirus e al suo impatto sulle economie mondiali, e al mancato accordo tra i membri dell’OPEC Plus su un taglio della produzione, il prezzo del greggio è crollato ai minimi storici e i principali esportatori hanno già annunciato l’intenzione dei aumentare considerevolmente il proprio output, che dovrebbe raggiungere un picco ad aprile. Questo, evidentemente, con il principale obbiettivo di mettere pressione ai rivali in vista di una ripresa delle trattative che molti analisti ritengono comunque probabile, a cui i grandi player vogliono presentarsi in posizione di forza.
Il primo di questi annunci è arrivato dall’Arabia Saudita, che ha ufficializzato – tramite la corporation petrolifera statale Saudi Aramco – l’intenzione di portare rapidamente la sua produzione nazionale da 12 a 13 milioni di barili al giorno.
A stretto giro è arrivata la dichiarazione di ADNOC, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti, che si è detta intenzionata a portare la sua produzione oltre i 4 milioni di barili al giorno già entro aprile, e anche ad accelerare i suoi piani per arrivare fino a 5 milioni di barili al giorno, valore che era stato fissato come target per il 2030.
Concomitanza di fattori che, evidentemente, si sta riverberando in modo massiccio sul prezzo al barile, sceso a livelli che non si vedevano da molti anni. Attualmente il Brent è quotato poco più di 36 dollari (36,11 per l’esattezza), rispetto ai circa 60 dollari del 20 febbraio scorso, mentre il WTI viaggia sui 33,5 dollari, mentre era quotato 54 dollari il 20 febbraio scorso.