Si è chiuso con performance economiche in calo il primo semestre 2019 per l’Eni, che ha visto ridursi l’utile a causa di una serie di fattori, non ultima la contrazione del prezzo del barile di greggio.
I primi sei mesi dell’anno si sono infatti conclusi per il ‘cane a sei zampe’ con un risultato netto pari a 1,52 miliardi di euro, in calo del 31% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In diminuzione, dell’11%, anche l’utile netto adjusted (che non tiene conto degli special items), a quota 1,55 miliardi.
Ancor più marcata la contrazione registrata nel secondo trimestre dell’anno: utile netto in calo del 66% a 424 milioni di euro e utile netto adjusted pari a 562 milioni di euro (-27%). Cifra quest’ultima – scrive l’Ansa, citando Bloomberg – “ben al di sotto delle stime degli analisti, che puntavano a 935 milioni di euro”. L’utile operativo adjusted si è attestato nel semestre a 4,63 miliardi (-6%) e nel secondo trimestre a 2,28 miliardi (-11%).
Stabili invece i ricavi complessivi, pari nel semestre a 36,98 miliardi (+3% rispetto ai 36,07 miliardi del primi semestre 2018) e la produzione di idrocarburi, che si è mantenuta attorno a 1,83 milioni di boe/giorno nel trimestre e nel semestre, sostanzialmente invariata. Per l’intero anno, Eni stima una crescita della produzione tra il 2% e il 2,5% su base annua, allo scenario di budget di 62 $/barile.
A pesare sui conti della corporation italiana è l’ “effetto scenario”, vale a dire il prezzo del petrolio che è sceso da una media i 70,55 dollari del primo semestre 2018 a 66 dollari nel 2019, ma contribuiscono negativamente al confronto anche l’operazione di deconsolidamento in Norvegia (Eni Norge) e i nuovi standard Ifrs16.
Il CEO dell’Eni Claudio Descalzi si è comunque detto soddisfatto “degli eccellenti risultati finanziari” raggiunti dal gruppo: “La generazione di cassa dell’esercizio, in incremento di oltre il 20% nonostante uno scenario meno favorevole rispetto al semestre precedente, ha coperto ampiamente tanto gli investimenti, a cui continuiamo ad applicare una rigorosa disciplina, quanto la remunerazione degli azionisti che oltre al saldo dividendo include ora anche il buy-back. Di conseguenza il debito è sceso rispetto a quello di bilancio di un ulteriore 5% a 7,87 miliardi di euro prima della passività per leasing”.
I risultati positivi, per il numero uno della major id San Donato, sono arrivati “grazie alla performance industriale. Nell’Upstream il nostro modello operativo, concepito per portare in produzione le riserve nel più breve tempo possibile, ha portato all’avvio della produzione dell’Area 1 in Messico a meno di un anno dall’approvazione del piano di sviluppo. Abbiamo inoltre aumentato per via organica la nostra base produttiva crescendo principalmente in Egitto dove il campo di Zohr si avvia al raggiungimento del plateau. Prosegue poi in Gas & Power il trend positivo del portafoglio long-term con il rinnovo del contratto di fornitura da Sonatrach”.