Nei primi 7 mesi del 2020 sono diminuite le importazioni italiane di petrolio greggio – e non poteva essere altrimenti considerando l’impatto della pandemia di coronavirus e delle conseguenti misure di lockdown – ma, parallelamente e in ragione degli stessi fattori, è calato in misura drastica anche il costo unitario del petrolio acquisto dal nostro Paese sui mercati internazionali.
Secondo i dati raccolti ed elaborati da UNEM (la ex Unione Petrolifera), nel periodo gennaio-luglio 2020 il Belpaese ha importato 29,1 milioni di tonnellate i greggio, il 18,1% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Come ovvio, i volumi sono rimasti abbastanza stabili nei primi 3 mesi dell’anno, con un calo solo leggermente più accentuato a marzo (-5,9%) a causa dell’inizio del lockdown, mentre le contrazioni più significative si sono concentrate ad aprile (-39,4% rispetto allo stesso mese del 2018), e nei mesi seguenti: a maggio il calo è stato infatti del 21,5% e ha superato il 25% sia a giugno che a luglio.
Per quanto riguarda l’origine geografica del greggio importato in Italia, tutti i principali fornitori hanno registrato cali significativi, anche se i partner più rilevanti restano quelli storici: in testa Iraq e Azerbaijan, con rispettivamente 5,44 e 5,42 milioni di tonnellate, seguiti dall’Arabia Saudita, con 4,17 milioni di tonnellate, e dalla Russia con 3,57 milioni di tonnellate.
Parallelamente alla riduzione dei quantitativi, i dati raccolti da UNEM evidenziano anche un calo del costo del greggio importato dall’Italia: non si parla del conto finale, che ovviamente risulta meno salato proprio perché il volume di prodotto acquistato è stato minore, ma della tariffa applicata dai fornitori all’unità di misura del petrolio venduto. Una dinamica generata dal crollo del prezzo del barile verificatosi immediatamente a valle dello scoppio della pandemia di coronavirus.
Secondo i numeri dell’associazione italiana di settore, infatti, mentre a gennaio il greggio importato è costato mediamente 439,6 euro a tonnellata, con un incremento del 17,2% rispetto a gennaio 2019, e a febbraio 393,5 euro a tonnellata, sostanzialmente in linea con lo stesso mese dell’anno precedente, questo valore già marzo si è quasi dimezzato scendendo a 241,1 euro a tonnellata (-45,1%), per crollare poi ad aprile fino a 138,4 euro a tonnellata (-70,4% su base annua). Prezzi drasticamente ridimensionati anche a maggio (162,5 euro/t; -65,7%), e in leggera ripresa solo a partire da giungo (249,1 euro/t) e luglio (279,7 euro/t, seppure a livelli ancora ben lontani rispetto a quelli pre-pendemia: rispettivamente -42% e -34,5% in raffronto con il costo medio registrato negli stessi mesi del 2019.