L’industria europea della raffinazione si prepara ad una nuova fase di concentrazione e consolidamento, per fronteggiare un mercato che si preannuncia difficile a causa di una domanda debole e di una concorrenza sempre più agguerrita dei competitor orientali.
E’ quanto emerge dalla recente European Refining Virtual Conference organizzata da S&P Global Platts, tra i cui speaker è intervenuto Adi Imsirovic, ricercatore dell’Oxford Institute for Energy Studies, secondo cui “ci saranno nuovi consolidamenti nel sistema europeo della raffinazione, visto che, come risultato della pandemia di coronavirus, si sono persi 9 milioni di barili di domanda”.
Già nei mesi scorsi il trader Gunvor aveva annunciato la sua intenzione di sospendere le attività della sua raffineria di Anversa, mentre il gruppo Total potrebbe essere propenso a fermare la sua raffineria di Grandpuits, vicino Parigi, per trasformarla in una fabbrica di bio-plastica.
E d’altra parte, sottolinea la stessa Platts nel suo resoconto della conferenza, lo switch verso la produzione di biocombustibili è una delle opportunità che si sta presentando ai raffinatori europei: la finlandese Neste, la francese Total e l’italiana Eni già producono biodiesel in alcuni dei loro impianti. “Quelli che entreranno per primi in questo business potranno sopravvivere” secondo Spyros Kiartzis, manager della greca Hellenic Petroleum.
Certo, restano ostacoli tecnologici ancora da superare e “per il momento il volume di capacità produttiva convertita a fonti rinnovabili è ancora modesto” ha ricordato John Cooper, direttore generale di FuelsEurope.
Per le raffinerie che vorranno “reinventare se stesse avviando la produzione di carburanti green” sarà fondamentale un supporto governativo, “cosa che al momento questi soggetti non hanno, a differenza di quanto avviene in Asia” ha ammonito Imsirovic.
Un’altra ‘chiave’ per garantire la sopravvivenza di un’industria della raffinazione nel Vecchio Continente è costituita da combinazione con le attività petrolchimiche, attraverso la creazione di poli integrati in grado di svolgere entrambi i cicli industriali, come avviene in Far East, dove peraltro i centri produttivi sono di dimensioni molto maggiori e possono quindi beneficiare di economie di scala che difficilmente i più piccoli competitor europei riescono a raggiungere.
Un vantaggio a cui si aggiunge, secondo i delegati del forum virtuale di Platts, anche il fatto di non dover sottostare a norme ambientali severe come quelle europee, che costituiscono per i player del settore un costo aggiuntivo pari a 2-3 dollari al barile”.