La recente introduzione delle sanzioni americane nei confronti dell’Iran, voluta dall’amministrazione Trump, ha quasi del tutto azzerato l’export di petrolio di Teheran, e come conseguenza indiretta sta anche modificando radicalmente le dinamiche dei traffici di greggio e prodotti raffinati che attraversano quotidianamente il Canale di Suez.
L’infrastruttura egiziana, che ha compiuto 150 anni (è stata aperta alla navigazione nel 1869 e ingrandita nel 2015), resta strategica per il commercio mondiale di ‘oro nero’, tanto che – secondo la broker house genovese Banchero Costa (che cita dati forniti dall’ Energy Information Administration americana) – nel 2017, se si sommano i carichi delle navi passate per il canale al greggio movimentato tramite il quasi parallelo oleodotto SUMED, il 9% di tutto il traffico petrolifero mondiale è transitato attraverso Suez.
Nel 2018, sono state 18.174 le navi che hanno attraversato il canale in entrambe le direzioni (50 al giorno in media), trasportando crescenti quantità di prodotti petroliferi e greggio: un quarto del naviglio in questione era infatti costituito da navi cisterna, cariche di 123 milioni di tonnellate di petrolio e prodotti in northbound (da sud a nord), con una crescita del 5% rispetto al 2017, e 112 milioni di tonnellate (+ 9%) in southbound (quindi da nord a sud).
In relazione all’origine e alla destinazione di questo crescente volume di petrolio che lo scorso anno ha attraversato Suez, il report di Banchero Costa rileva che l’85% dei traffici in northbound proveniva dal Medio Oriente: il primo esportatore nel 2018 è stato infatti l’Arabia Saudita con 31,4 milioni di tonnellate, seguita dall’Iran con 30,6 milioni di tonnellate e dall’Iraq con 23,6 milioni di tonnellate. A comprare questi carichi era stata soprattutto l’Olanda, al vertice tra gli acquirenti con 23,4 milioni di tonnellate, poi gli Stati Uniti (16,4 milioni di tonnellate) e alcuni Paesi mediterranei come Turchia, Italia, Francia, Spagna e Grecia.
Il greggio e i prodotti che hanno viaggiato in direzione contraria, ovvero da nord a sud del canale (southbound), lo scorso anno provenivano invece in larga misura dai porti russi affacciati sul Mar Nero (circa il 24% del totale), dall’Olanda e dalla Libia (con rispettivamente il 12% ciascuna), ed erano destinati principalmente ad importatori asiatici, come Singapore e in Cina, che hanno ricevuto rispettivamente 27 milioni e 21,3 milioni di tonnellate di greggio e prodotti transitati da Suez lo scorso anno.
Uno scenario che tuttavia, se si analizzano i dati relativi ai primi 7 mesi del 2019, appare radicalmente mutato, soprattutto – precisa la broker house genovese – a causa della reintroduzione delle sanzioni all’Iran, che hanno fortemente limitato l’output petrolifero di Teheran.
Nel periodo gennaio-luglio di quest’anno, infatti, i traffici petroliferi attraverso il Canale di Suez in direzione nord sono calati del 25% scendendo a quota 30,6 milioni di tonnellate. Riduzione che, però, è stata quasi completamente compensata da una conseguente crescita dei flussi in direzione opposta, aumentati del 20% a 29,9 milioni di tonnellate.