I margini dell’industria della raffinazione sono ancora solidi, ma il contesto è in rapido mutamento sulla spinta di una crescente attenzione all’impatto ambientale delle attività, e soltanto i player che hanno investito in ricerca e sviluppo saranno in grado di guidare la transizione verso un futuro energetico low-carbon continuando a essere competitivi sul mercato.
Su questi temi si è concentrato l’intervento di Giacomo Rispoli, Executive Vice President Portfolio Management dell’Eni, che ha aperto i lavori di IRPC Europe 2018, evento internazionale dedicato all’industria della raffinazione organizzato dalla testata specializzata Hydrocarbon Processing e in corso in questi giorni a Milano (dal 5 al 7 giugno).
Analizzando il contesto generale del mercato petrolifero mondiale, il top manager del ‘cane a sei zampe’ ha ricordato che la domanda sarà sostenuta nel 2018, a quota 1,7 milioni di barili al giorno, e che in prospettiva continuerà a crescere il volume di export petrolifero degli USA, diretto verso Asia (soprattutto Cina e poi India, mentre gli altri Paesi della regione rivestono un ruolo marginale) ed Europa. I
n entrambi i continenti, infatti, la produzione interna di greggio è in calo, ma in Asia la capacità di raffinazione resta elevata così come la domanda di prodotti raffinati, sostenuta dai consumi dei Paesi emergenti.
I margini della raffinazione sono comunque ancora sostenuti – secondo Rispoli – ma per i prossimi anni è prevedibile un maggior tasso di incertezza dovuto in parte all’entrata in vigore delle nuove normative stabilite dall’IMO (International Maritime Organizzation) in materia di emissioni delle navi (limite dello 0,5% di ossido di zolfo entro il 2020). Il cosiddetto sulphur-cap avrà, con tutta probabilità, effetti diretti sul mercato del bunker, riducendo la domanda di carburante marino tradizionale e spingendo quella di ‘fuel’ più puliti.
Le opzioni che si presentano di fronte agli armatori, per rispettare i futuri limiti, sono diverse: dal passaggio a navi con propulsione a GNL (gas naturale liquefatto) all’installazione di scrubber per filtrare i fumi di scarico, fino all’utilizzo di bunker con basso contenuto di zolfo. Mentre le prime due soluzioni comportano però investimenti considerevoli in apparecchiature e riducono lo spazio disponibile a bordo (sia gli scrubber che, soprattutto, i serbatoi per il GNL, sono manufatti di grandi dimensioni), il passaggio ad un carburante povero di zolfo non comporta
spese irreversibili, anche se inevitabilmente, essendo il bunker ‘pulito’ più costoso, porterà ad un aumento della spesa per il carburante.
L’impatto, però, secondo l’Executive Vice President Portfolio Management di Eni, sarà sopportabile per l’industria marittima, che già in passato è stata in grado di assorbire senza eccessivi contraccolpi (leggasi un incremento del costo del trasporto ribaltato poi sui clienti finali degli armatori) il barile di greggio oltre i 100 dollari.
Alla luce di tale ragionamento, Eni ha già studiato come produrre carburante navale con basso tenore di zolfo, e in generale ha investito molto sulla transazione verso un futuro energetico low-carbon. Obbiettivo che la corporation italiana intende perseguire incrementando la quota delle proprie attività legate al gas naturale, come strumento di passaggio verso una maggior utilizzo di fonti rinnovabili, altro ambito in cui Eni si è impegnata con particolare convinzione.
A tale proposito Rispoli ha ricordato la conversione delle raffinerie Eni di Venezia e Gela in bioraffinerie per la produzione di biocarburanti, che potranno essere ricavati anche dal ciclo dei rifiuti, e le soluzioni studiate dall’azienda per la mobilità sostenibile nelle città (car sharing ecc..)
“Solo chi ha investito in ricerca e sviluppo sarà in grado di gestire il grande mutamento in atto nell’industria energetica, senza subirlo passivamente ma anzi ponendosi come soggetto competitivo in grado di fornire combustibili ecosostenibili” ha concluso Rispoli.