La Libia è da sempre, per ragioni storiche e di vicinanza, un importante fornitore di greggio per l’Italia, che nel corso del 2019 ha ulteriormente aumentato la quota di import dal Paese nordafricano.
Quali potrebbero essere, quindi, i contraccolpi sul nostro sistema energetico del recente stop all’export libico, conseguenza della chiusura dei porti petroliferi nazionali imposta dal Libyan National Army nell’ambito della guerra civile che infuria nella regione?
La risposta arriva dall’Unione Petrolifera e sembra essere piuttosto confortante, soprattutto in termini di maggiori costi sulla bolletta petrolifera.
I dati dell’associazione confermano l’importanza della Libia come fonte di approvvigionamento: nel 2019 dal Paese sono arrivate in Italia 7 milioni di tonnellate di greggio, cifra che costituisce il 21% in più rispetto ai volumi importati nel 2018 ed è pari al 12% di tutto il petrolio acquistato dall’Italia sui mercati internazionali lo scorso anno.
Tutte le raffinerie italiane importano e lavorano petrolio libico, che generalmente è di buona qualità ma che – e questa è la buona notizia – si può sostituire con greggio proveniente da altri Paesi africani (Algeria, Nigeria, Gabon, Angola), dal Mare del Nord e dall’ Azerbaijan.
Lo ‘switch’ verso altre fonti di approvvigionamento avrà inevitabilmente un costo, che però – secondo l’Unione Petrolifera – sarà tutto sommato contenuto e riguarderà in parte il trasporto e in parte il sistema di raffinazione, i cui maggiori oneri sono stati stimati in circa 60 milioni di euro all’anno. Poco rilevante, invece, sarà l’impatto sulla bolletta petrolifera, stimato intorno allo 0,2%.
Scendendo più nel dettaglio, l’associazione delle aziende italiane attive nel midstream e nel downstream ricorda che, dei circa 52 milioni di barili di greggio libico importati in Italia nel 2019, formulando una classificazione qualitativa basata su grado API e contenuto di zolfo, il 31% risultava Ultra Light e Sweet (Bu Attifel e El Sahara); il 49% Light e Sweet (Amna e Es Sider); il 20% Medium e Sour (Al Jorf e Bouri).
Nella sostituzione del petrolio di origine libica sarà quindi necessario tenere conto di questa classificazione e della maggiore distanza di origine dei greggi alternativi: fattori che aumenteranno il costo per il sistema di raffinazione di circa 1,3 dollari a barile, ovvero – come detto – circa 60 milioni di euro all’anno. Calcolo che prescinde tuttavia – precisa l’Unione Petrolifera in chiusura della sua nota – da ogni possibile riallineamento dei differenziali sui mercati (soprattutto spot) dovuti ad un eventuale aumento della domanda dei greggi adatti a sostituire quelli libici, non più disponibili.