La transizione energetica si farà, perché la riduzione dell’impatto ambientale è un obbiettivo condiviso da tutta l’industria, ma il processo sarà molto lungo, e per gestirlo al meglio è necessario sgombrare il campo da illusioni e ‘falsi miti’.
E’ questo, in sostanza, il messaggio che emerge dall’workshop “La transizione energetica: scenario internazionale e contesto italiano”, organizzato a Milano da Assomineraria in collaborazione con la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), che ha ospitato l’evento nella sua sede meneghina.
“Se infatti gli obbiettivi, come riduzione della CO2 e del riscaldamento globale, sono chiari – ha detto, nel suo intervento introduttivo, il Presidente di Assomineraria Luigi Ciarrocchi – è ora necessario concentrarsi sulle modalità con cui essi vanno perseguiti. E in questo senso un ruolo fondamentale può giocarlo la ricerca scientifica e tecnologica”. Bisogna poi tenere a mente, ha aggiunto Ciarrocchi, “che la sostenibilità ambientale non può essere raggiunta senza tener conto anche della sostenibilità economica e sociale delle attività legate alla produzione di energia”.
Tema su cui è tornato anche il professor Giulio Sapelli, Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Eni Enrico Mattei, che, dopo aver annunciato con soddisfazione che “finalmente la Fondazione ha aderito come socio ad Assomineraria” ha messo in guardia: “Va benissimo la transizione energetica, ma va realizzata senza perdere posti di lavoro”.
Sapelli ha poi rimarcato la necessità di una maggior onestà intellettuale, quando si parla di questi tempi: “C’è molta confusione, quando per esempio ci si riferisce all’energia elettrica come fonte, dimenticando che invece è un vettore, e un eccessivo allarmismo quando si paventa una fine del mondo ormai imminente. La situazione è diversa, e peraltro le fonti fossili sono ancora abbondanti sul pianeta”.
Ma è un altro noto accademico, il professor Alberto Clò, Direttore della Rivista Energia nonché ex ministro, a suonare la sveglia: “Chi dice che la transizione energetica è già in corso, e per di più sarà rapida, crea un’illusione, un vero e proprio inganno”.
La situazione, per Clò, è ben diversa, e a dirlo sono alcuni semplici dati: “Nel 2000, a livello mondiale, le fonti fossili pesavano per l’80% (36% petrolio, 21% gas, 23% carbone) del totale e le rinnovabili per l’1%. Nel 2018, le fossili erano sempre all’80% (31% petrolio, 23% gas e 26% carbone) mentre le rinnovabili erano arrivate solo al 2%. Nessuna transizione al momento è in atto. E questo non per mancanza di volontà dei Governi, come a volte si tende a far credere, ma per un’oggettiva complessità del sistema energetico”.
Per avere poi conferma che i tempi della transizione saranno molto lunghi, secondo Clò basta rileggere la storia dell’energia e scoprire così che “il carbone ha impiegato oltre 100 anni per soppiantare il legno come prima fonte energetica e il petrolio ci ha messo altrettanto per sostituirsi al carbone. Allora come possiamo pensare – si è quindi chiesto il professore – che le rinnovabili, dall’attuale 2%, possano diventare la fonte energetica predominante in pochi anni? Tenendo anche conto del fatto che, mentre carbone e petrolio hanno avuto effetti dirompenti in termini di innovazione tecnologica e sviluppo economico, le rinnovabili non hanno queste caratteristiche”.
“Lo dico quindi con rammarico, perché sono convinto che la transizione energetica sia un percorso che dobbiamo intraprendere, ma mi pare evidente che resteremo ostaggio delle fonti fossili ancora per molto tempo” ha concluso Clò, assicurando però di essere ottimista sul futuro, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie.
Un fondo di ottimismo che pervade anche l’intervento di Antonio Martini, Direttore Divisione VII – Interventi per Ricerca e Sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico, secondo cui “è proprio perché la transizione sarà un processo lungo e complesso, che va aiutata e sostenuta anche con l’intervento pubblico. I sussidi servono, anche se da soli non sono sufficienti: nel periodo 2014-2019 – ha ricordato Martini – il MISE ha erogato 4,2 miliardi di finanziamenti per attività di ricerca e sviluppo, che hanno mosso a leva tra i 6 e i 7 miliardi di investimenti privati. E, nell’ambito del Green New Deal inserito nell’ultima Legge di Bilancio, sono già stati stanziati altri 4,2 miliardi di euro per il periodo 2020-2024”.
Altrettanto importante è però l’azione diretta delle aziende, a partire dai principali player dell’industria energetica globale come l’Eni, che – ha ricordato Monica Spada, Senior Vice President Bio Development, Sustainable Mobility & Circular Economy del ‘cane a sei zampe’ – “ha costituito la nuova divisione di cui faccio parte proprio per avviare un processo di rinnovamento industriale nel senso della sostenibilità, sia sociale che ambientale, delle attività del gruppo”.
Tenendo conto che entro il 2040 il fabbisogno di energia crescerà del 30% a livello globale, mentre nello stesso intervallo le emissioni dovranno scendere, “l’Eni si è chiesta: come possiamo raggiungere questo obbiettivo?”. La risposta è articolata, e prevede una strategia multiforme che contempla diverse linee d’azione: “Dalla cattura della CO2 e suo riutilizzo alla circular economy fino alla riconversione di alcuni asset produttivi (come le bio-raffinerie di Venezia e Gela). Inoltre – ha rivelato Spada – stiamo anche lavorando a progetti per produrre bunker navale da FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) e idrogeno da altri prodotti di scarto”.