Con l’entrata in funzione dei primi terminal per la spedizione via mare dello shale gas, l’export americano di GNL sta crescendo a ritmi molto sostenuti, ma il rischio, secondo alcuni analisti, è che presto si arrivi ad una situazione di eccesso di offerta di questo combustibile rispetto alle reali necessità del mercato mondiale.
Secondo i dati raccolti dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, lo scorso gennaio sono stati esportati dell’impianto della compagnia Cheniere di Sabine Pass, sul confine tra Luisiana e Texas, 51,4 miliardi di piedi cubi a bordo di 15 navi gasiere (dirette principalmente in Messinco, Cile, Giappone, Cina, India e Giordania), cifra che supera ampiamente il precedente record di 41,8 miliardi di piedi cubi spediti dallo stesso terminal a dicembre 2016.
Nuovi primati dopo quello già raggiunto nel 2016: da febbraio, quando Sabine Pass è entrato in funzione, a dicembre 2016, infatti, il terminal di Cheniere ha esportato in totale 186,6 miliardi di piedi cubi di GNL, consentendo agli USA di diventare esportatore netto (ovvero quando l’export supera l’import dello stesso prodotto) di gas con due anni di anticipo rispetto all’obbiettivo fissato dal Governo di Washington, che aveva previsto di raggiungere il target nel 2018.
La cifre sono comunque destinate a crescere a livello esponenziale durante i prossimi anni: attualmente a Sabine Pass sono attivi 2 impianti di liquefazione del gas, che però entro il 2019 dovranno diventare 5, portando la capacità di export complessivo del terminal a 4,5 milioni di tonnellate all’anno.
Sempre Cheniere sta poi realizzando un altro sito dedicato alle esportazioni di GNL a Corpus Christi, in Texas, che sarà pronto nel 2019 e avrà una capacità annua di ben 22,5 milioni di tonnellate, mentre la società Freeport LNG Development inaugurerà il prossimo anno un altro impianto, sempre in Texas, da 13,9 milioni di metri cubi annui di capacità.
Investimenti importanti, il cui ritorno potrebbe tuttavia richiedere più tempo del previsto. Secondo un’analisi di Moody’s, infatti, l’offerta globale di GNL crescerà molto più velocemente della domanda, che quindi non sarà in grado di assorbire il surplus.
Oltre alle nuove strutture americane, infatti, la società di rating ricorda che ci sono molti progetti analoghi in via di completamento anche in Australia e Russia. Parallelamente, però, il Giappone, oggi primo importatore in grado di assorbire un terzo dell’intero export mondiale, da qui al 2020 ridurrà del 9% la sua domanda di GNL a causa della ripresa della produzione di energia nucleare. Cina e India aumenteranno invece sensibilmente il loro fabbisogno di gas, ma – secondo Moody’s – non abbastanza per poter assorbire il ben più consistente incremento dell’offerta a livello globale.